Tutto può cambiare: la recensione di Barbara Monti

“Tutto può cambiare”
di John Carney (2013)

Gretta è una giovane cantautrice che una sera per caso si esibisce cantando un suo pezzo in un locale dell’East Village di New York. Tra un pubblico non particolarmente entusiasta spicca Dan, produttore musicale, che rimane letteralmente folgorato dalla canzone, tanto da proporre subito alla ragazza una collaborazione.
Inizia così la storia di Tutto può cambiare, il cui titolo originale è Begin Again, ossia “ricominciare”. Il film è infatti incentrato sulla possibilità di rimettersi in gioco, il potersi rialzare dopo una brutta caduta. Entrambi i protagonisti del film hanno alle spalle un fallimento: per Dan è il matrimonio andato in pezzi ed il difficile rapporto con la figlia, per Gretta è una storia d’amore finita male. Attraverso questo incontro del tutto casuale i due protagonisti riusciranno, accomunati dall’amore per la musica, a ritrovare un senso che sembrava perduto.
Il regista costruisce il film sul ruolo salvifico della musica, vero fil rouge di tutta la storia. Le canzoni che fanno da colonna sonora sono state scritte da John Carney in collaborazione con Glen Hansard, cantautore e attore irlandese, e Gregg Alexander, ex frontman dei New Radicals, ora cantautore solista e produttore musicale. Il regista ha dichiarato di aver aspettato fino all’ultimo per comporre le canzoni, così che la creazione del film andasse di pari passo con la creazione musicale. In questo modo la musica poteva realmente seguire l’evoluzione dei personaggi, accompagnandoli per tutto il percorso. Da Lost Stars, che parla di stelle perdute che cercano di illuminare l’oscurità che le avvolge, a Like a Fool, che parla di ritrovarsi soli e senza più vento nelle vele, le canzoni si susseguono mettendo a fuoco l’anima emotiva dei personaggi.
Oltre alla musica, a svolgere un ruolo attivo nel film è anche la città in cui è ambientato: New York. Forse la città più “cinematografica” di sempre, ancora una volta non fa da mera cornice, ma contribuisce a densificare il senso della storia. La città dove tutto può cambiare si trasforma in uno studio di registrazione pulsante di voci, luci, colori, di vita insomma. L’album on the road che Gretta realizza insieme a Dan ed il resto della band viene infatti registrato in giro per la città, portando lo spettatore a scoprire e riscoprire luoghi più o meno conosciuti, ma sempre molto affascinanti. Fascino che viene senz’altro amplificato dal commento musicale sempre azzeccato. Come dice a un certo punto Dan a Gretta, riflettendo sul potere della musica: “Una delle scene più banali, in un istante viene investita di tanto significato. Tutte quelle banalità d’un tratto si trasformano in perle. Una collana di perle preziose. Grazie alla musica.”
Il regista si avvale di molti momenti citazionisti del panorama filmico romantico, che potrebbero facilmente scivolare nello stucchevole. La bravura di Carney sta nel sapersi mantenere sempre al di qua del confine, destreggiandosi abilmente tra situazioni potenzialmente melense e che invece mantengono sempre un’aura di freschezza.
A dare corpo al film è senz’altro anche l’interpretazione di Mark Ruffalo, perfetto nei panni di Dan, un produttore discografico fuori dagli schemi e fermamente idealista. La sua presenza scenica, fatta di una fisicità scoordinata e un po’ “selvaggia”, riesce a bucare lo schermo mettendo talvolta in ombra gli altri attori.
Keira Knightley, che per la prima volta si cimenta in un film anche come cantante, riesce bene in questo ruolo, anche se la sua incisività non regge sicuramente il confronto con quella del collega Ruffalo.
Il vero scatto che allontana definitivamente il film dal pericolo di caduta nel cliché avviene nel finale, per niente scontato, e in quel doppio jack (sdoppiatore per cuffie), simbolo di una rinascita emotiva che ha permesso a due stelle perdute di ritrovare un po’ di luce nell’oscurità che le avvolgeva.

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