Un sapore di ruggine e ossa: la recensione di Marita Toniolo

Un sapore di ruggine  e ossa. Ruggine, come quella che ricopre il garage e il cuore dell’ex carcerato Ali, che si ritrova improvvisamente con un figlio di cinque anni a carico a cercare di ricostruirsi un futuro (lo farà appoggiandosi alla sorella maggiore e lanciandosi nel giro delle lotte clandestine). E poi ossa, come quelle spezzate di Stephanie, addestratrice di orche presso un parco di divertimenti, letteralmente “mangiata” da una delle sue creature, con conseguente amputazione di entrambe le gambe (poi sostituite da arti meccanici).
L’acclamato regista francese Jacques Audiard dichiara apertamente già dal titolo la sua fonte di ispirazione: ovvero l’omonima raccolta di racconti di Craig Davidson. Al suo universo crudo e violento, disperato e struggente, alla sua galassia di personaggi borderline si rifà dunque il regista del già cult racconto di formazione criminale Il profeta (con il quale ha rischiato di vincere la Palma d’oro a Cannes 2009). Protagonisti gli affascinanti Marion Cotillard (recentemente in trasferta a Hollywood con Il cavaliere oscuro – Il ritorno) e il semisconosciuto attore belga Matthias Schoenarts, qui impegnati in una prova ardua, che da sola meriterebbe il prezzo del biglietto.
Un melò che mescola tinte forti e gusto pop, in cui si intrecciano vite in bilico e individui senza una direzione, sullo sfondo di una periferia come mille altre.
Stephanie e Ali, sono due destini che si incrociano per caso fuori da un locale: lei bellezza sfacciata e irraggiungibile, lui rozzissimo buttafuori. Due opposti inconciliabili che solo un fato beffardo e crudele avrebbe potuto unire. Dopo l’incidente, sola e senza più un’immagine da difendere, Stephanie trova nel vitalismo sfrenato di Ali la miglior medicina alla sua disperazione. Lei ora tutto è vuoto e morte, lui di contrasto è tutto istinti primari, ribellione e forza. Anche il sesso tra di loro è meccanico, silenzioso, senza sentimento (almeno per uno dei due). La loro è una rieducazione sentimentale faticosa, che deve prima di tutto scrostare quella ruggine così saldamente incollata sul cuore di Ali.
È facile rimanere irretiti dalle storie di Audiard, dalla sua regia fatta di immagini maestose e potenti come quella del saluto tra Stephanie e l’orca maledetta. Egli è totalmente a servizio dei suoi due “eroi”, a cui è asservito anche un sapiente montaggio che alterna ritmo sostenuto a rallenty muti nei momenti più drammatici. Un insieme ben dosato, di cui bisogna anche sottolineare l’intrigante colonna sonora (dell’ormai collaudatissimo Alexandre Desplat), in cui si inseriscono  giustappunto le interpretazioni  della Cotillard, qui nuovamente alla prova in un ruolo di difficoltosa metamorfosi  fisica (andate a recuperarvi la sua Edith Piaf ne La vie en rose), contrapposta – con il suo aspetto romantico e delicato – alla virilità manifesta e spontanea di una bella scoperta come  Schoenarts
Che la macchina da presa li adori è evidente, visti i continui primi piani ravvicinati che quasi confondono lo sguardo.

Un sapore di ruggine e ossa è il manifesto laico di un regista che esalta le capacità naturali dell’uomo di reinventarsi il destino rispetto alle prove della vita e a un Dio che, per lui, “vomita indifferenza”. Eppure, nonostante l’umana empatia che Ali e Stephanie suscitano (merito soprattutto – lo ripetiamo – della straordinaria interpretazione che entrambi gli attori hanno offerto), il film mostra due difetti che ne abbassano il voto finale e che gli hanno impedito di ottenere qualche riconoscimento all’ultimo Festival di Cannes. Il primo è legato al modo in cui Audiard verso la fine calca la mano nel far precipitare gli eventi, con effetti strappalacrime evitabili. Il secondo, ma anche il più importante, è l’eccesso di studio che si cela dietro il film. Una programmaticità che crea distanza e impedisce il coinvolgimento totale. Pur se non totalmente onesto, si fa perdonare per la partecipazione con cui si addentra nell’osservazione di un sentimento che – crescendo – lenisce le ferite dell’anima e inventa percorsi imprevedibili, fino a conferire nuovamente all’individuo quella nobiltà e quella bellezza che la vita sembrava avergli tolto. Impossibile non tifare per Ali e Stephanie.

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Mi piace: la performance piena di sfumature dei suoi protagonisti; la regia sofisticata e pop insieme.

Non mi piace: l’architettura troppo studiata del film, che attenua il coinvolgimento.

Consigliato a chi: cerca un cinema d’autore  non chiuso in se stesso, ma aperto ai sentimenti, alle storie, alle grandi performance d’attore

Voto: 3/5

 

 

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