Una vita da gatto

Quello natalizio è un periodo ben descrivibile nel panorama cinematografico internazionale: il grande pubblico non cerca infatti il caldo delle sale per assistere a profonde riflessioni filosofiche, a drammi o a thriller che richiedono un’attenzione al di sopra delle media, no; la gente, o per meglio specificare i cosiddetti “casual buyers”, vuole risate e spensieratezza, un divertimento privo di impegno che concilia lo spirito di comunione delle festività. Da noi diremmo che ricercano i cinepanettoni –e ne hanno!-, ma in America, ad esempio, è la commedia per famiglie a farla da padrona (escludendo ovviamente casi come i cartoon Disney).

E allora ecco uscire neanche tanto in sordina un film come Una vita da gatto, un’idea di cinema molto anni ’90 con un cast che comprende il protagonista Kevin Spacey, Jennifer Garner e il grande Christopher Walken, quest’ultimo particolarmente legato a ruoli sopra le righe nel genere, basti ricordarlo in Cambia la tua vita con un Click al fianco di Adam Sandler. La storia è tra le più classiche: il miliardario magnate Tom Brand ha avuto tutto dalla vita, compreso un carattere accentratore e una pessima indole paterna nei confronti del figlio maggiore e della figlia più piccola. È infatti concentrato quasi sempre sul lavoro e non trova mai tempo per stare con loro o dimostragli quanto ne sia orgoglioso… insomma, l’esatto quadro del personaggio di Tim Allen nello Shaggy Dog del 2006, solo che lì il protagonista si trasformava in un cane. Senza fare spoiler, accade che Tom si ritrova nel corpo di un gatto, lo stesso che aveva comprato per il compleanno della figlia e, tra fusa e piccole peripezie, cercherà in ogni modo di tornare al suo status normale attraverso la riconciliazione con sé stesso e con la famiglia.

Quello che sorprende di Una vita da gatto non è tanto il fatto di vedere un prodotto simile al cinema, nato quasi certamente per cavalcare l’onda del successo degli amici pelosi su Internet (tra i più cliccati di sempre!), ma piuttosto assistere alle opinabili interpretazioni di un cast all-star in quello che è a tutti gli effetti un guilty pleasure, fuori tempo massimo e decisamente fuori scala visti i nomi coinvolti e il regista, Barry Sonnenfeld, lo stesso di Men in Black. Sorvolando però sulle intenzioni, anche nel merito il film riesce a strappare davvero poche risate, sfruttando addirittura male la presenza dei gatti, notoriamente divertenti di loro. Esagerando, diremmo che il lungometraggio funziona nettamente meglio nella sua prima mezz’ora, dove dei gatti non vi è neanche l’ombra. E allora sfuggono completamente le basi che hanno portato allo sviluppo di un progetto simile, con poca verve e purtroppo molte note dolenti persino per l’estrazione di genere alla quale appartiene.

Date per scontate le necessità di una fetta di pubblico di divertirsi e passare una tranquilla ora e mezza, soprattutto in famiglia, ci sentiamo di consigliare il film agli strenui amanti dei gatti e a chi sa per certo cosa aspettarsi.

Mi piace: Un divertente Kevin Spacey e ovviamente i gatti.

Non mi piace: Un’idea di cinema un po’ semplice in un periodo dove anche le commedie di questo tipo possono essere più sofisticate.

Consigliato a chi: Agli amanti dei pelosi amici a quattro zampe. Ai più piccoli.

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