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Vergine Giurata: la recensione di JAMovie

Vergine Giurata: la recensione di JAMovie

Negli ultimi anni, quando si associano le parole Italia e Berlino, la maggior parte delle persone subito riportano alla mente quel mitico mese a cavallo tra Luglio e Agosto 2006 che calcisticamente parlando, ci ha visti sul tetto del mondo, proprio in terra tedesca, proprio nella capitale.
Se questa associazione la trasportiamo nel mondo del cinema quello che subito ci balza all’occhio è uno dei Festival del cinema Europei più importanti e la possibile presenza di una nostra pellicola all’interno del concorso.
Così è stato infatti nell’ultima edizione della “Berlinale”, tenutasi lo scorso Febbraio, in cui c’era un pezzo d’Italia tra i film presentati in concorso.
Più precisamente il film in questione è un’ opera prima che si rifà all’omonimo romanzo di Elvira Dones, con Laura Bispuri in cabina di regia, la Rohrwacher protagonista principale, ed un titolo che subito suscita curiosità ed interesse : “VERGINE GIURATA” .

La storia parte da un paese non distante dalla nostra penisola, l’Albania, con le sue bianche montagne, le sue abbondanti nevicate, e la dura vita che ne consegue, specialmente in quelle zone impervie.
E parte da qui un viaggio, un viaggio verso la ricerca di un’identità, di un posto nel mondo, di un senso da dare alla propria vita.
Un viaggio che parte dall’Albania ed arriva a Bolzano, ed è compiuto dal protagonista della nostra storia, Mark, che subito arrivato in Italia chiede ospitalità a quella che pensiamo debba essere una sua parente, Lila, che vive con un marito taciturno gran bevitore di birra ed una figlia a cui ognuno vorrebbe sparare dopo i primi cinque minuti di film, ma che avrà poi il suo significato all’interno della storia.
Mark non è in quel posto per caso, non è partito dall’Albania a caso, aveva uno scopo, e sapeva dove e da chi andare. Ma questo e la storia che ne consegue la lasciamo alla visione del film.

La regista Bispuri debutta alla regia con questa pellicola che gioca molto sull’accostamento di vari parallelismi e simbologie, in cui abbiamo un viaggio fisico, ma anche un percorso di scoperta della propria identità, da parte del protagonista, Mark appunto, la cui storia non è affatto quello che sembra.
Con continui flashback dal passato al presente la regista scava senza andare molto e troppo in profondità nel personaggio Mark e nell’intento del suo viaggio, nell’obiettivo che lui si aspetta da questo.
Passiamo così dai ricordi in terra albanese, in un piccolo paesino montano in cui la figura maschile è predominante su quella femminile che di cose ne può fare veramente poche, ai fatti legati al presente, con un Mark che cerca di integrarsi sempre di più sia nel nuovo contesto italiano che nella famiglia che lo ospita, trovando inizialmente più difficoltà con la figlia di Lila, Jonida, ragazza appassionata al nuoto sincronizzato, altro elemento che ha il suo significato e quindi la sua ragion d’essere all’interno del film.
Si perchè in questo iflm uno dei protagonisti principali è il corpo, il fisico, quello sinuoso e ritmato di chi come la giovane Jonida fa quello sport, ha una vita tutto sommato non improba, e quello scavato e spigoloso di Mark, segnato dalla sua vita in Albania, e soprattutto dalla sua infanzia, e dalla scelta che Mark ha deciso di compiere ad un punto della sua vita.
Senza spingere troppo sull’acceleratore e senza momenti di pathos elevato la regista Bispuri ci regala una pellicola che parla di donne, che mette la donna e la sua figura al centro del film, e lo fa utilizzando come perno centrale proprio Mark, si lui, interpretato (meglio fisicamente che espressivamente) da Alba Rohrwacher, non ai picchi di “Hungry Hearts” ma comunque brava.
Un protagonista maschile per un film sulla condizione delle donne, sarà il film a farvi chiarezza su questo.
Un film che urla in silenzio la sua voglia di libertà, senza far rumore ( e la Rohrwacher è perfetta per questo ruolo), che anche senza andare troppo in profondità però il suo messaggio lo lancia.
Una pellicola che si fa guardare, e che per essere arrivata a Berlino come opera prima, è sicuramente da vedere.

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