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3D, la storia in pillole – Gli anni anni Sessanta e Settanta

La terza dimensione tra Andy Warhol e le pornohostess

Best Movie vi regala un viaggio tra le “ere” della terza dimensione, ripercorrendo i film e le tecnologie che hanno fatto storia e scuola prima del boom della nouvelle vague stereoscopica nata con Polar Express ed esplosa con il fenomeno Avatar.

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I film

Quasi tutti i film 3D partoriti tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta sono pellicole di genere, che oscillano per lo più tra l’horror, l’azione e l’erotico. Quest’ultimo, in particolare, è quello che solletica maggiormente il pubblico.

L’erotico:

Uno dei più grandi successi commerciali di tutti i tempi (in termini di spesa/profitto) è l’americano Le pornohostess in super 3D (The Stewardness), film del 1969 di Al Silliman. Costata 100 mila dollari, la pellicola ne ha incassati quasi 30 milioni. La sua realizzazione, tuttavia, è durata anni, tra riprese e montaggi (effettuati in tempo reale in sala proiezione, con il pubblico che paga ogni volta per vedere i cambiamenti tra una versione  e l’altra). Alla lavorazione partecipano Chris J. Condon, ideatore del sistema “over and under” (che ha permesso di eliminare il doppio proiettore, grazie all’uso di un’unica pellicola e un unico proiettore, dotato di lenti speciali) e Daniel Symmes, direttore della fotografia, consulente di molti futuri film 3D e fondatore della società 20/20, specializzata nel restauro di pellicole 3D.
Dall’Inghilterra arriva invece Le avventure sessuali di Greta in 3D, che contiene però solo quattro flashback da fruire con gli occhialini, mentre tutto il resto è in 2D.

La locandina de Le pornohostess in super 3D (The Stewardness)

La locandina de Il mostro è in tavola, barone Frankenstein

Ecco il trailer in lingua originale de Le pornohostess in super 3D:

L’horror:

Tra i film da brivido più amati dal pubblico di questi anni, c’è The Bubble (1966) di Arch Oboler, autore del popolare Bwana Devil (1956). Nel 3D di genere horror si cimentano diversi Paesi, tra cui il Canada con l’onirico La maschera e l’incubo (1961) di Julian Roffman e la Spagna con Le notti di Satana (1968) di Enrique Lopez Eguiluz.
Anche l’Italia si muove in questa direzione, sfornando, con la collaborazione della factory di Andy Warhol (in America, infatti, il film è conosciuto anche col titolo Andy Warhol’s Frankenstein), Il mostro è in tavola… barone Frankenstein (1973), diretto da Paul Morrisey. Alla realizzazione partecipa anche Antonio Margheriti (La vergine di Norimberga, L’ultimo cacciatore). Il film compone un dittico horror-fantascientifico insieme alla pellicola dell’anno successivo Dracula cerca sangue di vergine… e morì di sete!!!, sempre realizzato con la collaborazione di Warhol.

La locandina di The Bubble

L’azione:

Tra i cult movie action di questo periodo si moltiplicano quelli che puntano sulle arti marziali, sia di produzione orientale (come 13 Nuns: Revenge of the Shogun Women) sia americana (come Domo Arigato o Tiger Man). Tra i titoli, che però si distinguono – specialmente per la tematica affrontata -, troviamo Captain Milkshake, un film di Richard Crawford del 1970, che racconta la storia di un reduce del Vietnam, traumatizzato dagli orrori della guerra, che diventa un figlio dei fiori. Il film è in bianco e nero, ma il colore appare nei flashback, insieme all’effetto 3D.

Ecco una clip (in lingua originale) da Captain Milkshake:



La tecnologia

Le tecniche di proiezione:
Negli anni Sessanta arriva il sistema SpaceVision 3D. Le due immagini (sinistra e destra) vengono compattate l’una sull’altra all’interno del fotogramma e proiettate sullo schermo con uno speciale sistema ottico che polarizza differentemente le due immagini, percepite separatamente dal pubblico in sala che indossa occhialini con lenti polarizzate.

Negli anni Settanta, invece, viene usato il sistema Stereovision, che affianca le immagini nello stesso fotogramma tramite ottiche anamorfiche.

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