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Dragged Across Concrete

La notte nera dell'anima america nel nuovo incredibile crime movie del sempre più sorprendente Craig S. Zahler

Dragged Across Concrete

La notte nera dell'anima america nel nuovo incredibile crime movie del sempre più sorprendente Craig S. Zahler

Dragged Across Concrete
PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (4)
Fotografia (4)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3)

Brett Ridgeman (Mel Gibson) e Vince Vaughn (Anthony Lurasetti) sono una coppia di poliziotti sospesi dal servizio, a seguito della diffusione in rete di un video che li vede impegnati in una retata in cui esagerano con la brutalità e l’uso intimidatorio del loro strapotere fisico (soprattutto il primo dei due). Feriti nell’orgoglio e nella dignità dopo anni di onorato servizio da agenti, decidono di procurarsi del denaro in maniere illecita.

Dragged Across Concrete (letteralmente: trascinato sul cemento) è la conferma che Craig S. Zahler è un autore di genere a dir poco portentoso, tanto che il Fuori Concorso di Venezia 75 in cui è stato inserito è una collocazione che gli va ormai a dir poco stretta. Dopo la pirotecnica follia carceraria di Cell Block 99, un anno fa nella stessa sezione (molti attori di quel film tornano anche qui, in camei tutti da scoprire), il regista prende la piega opposta: una crime story lugubre e intima, dimessa e girata quasi tutta in auto, con dialoghi fluviali e la sensazione, tangibile, di un’Apocalisse imminente.

Un altro inferno, dunque, ma meno infuocato – solo apparenza – più polveroso, più ordinario, che si tuffa a capofitto nella voragine sociale della classe media americana impoverita e rabbiosa, la stessa che ha prestato il fianco all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. L’adrenalina, però, rispetto al film precedente è sorprendentemente la stessa, nonostante cambino i termini di paragone: Zahler è uno dei pochi registi di serie B di oggi che può permettersi tempi dilatati tenendo comunque lo spettatore appeso per le viscere, e il merito è innanzitutto della sua prodigiosa capacità di scrittura, messa in scena, direzione degli attori.

Abbondano i campi medi conficcati direttamente nell’abitacolo dell’auto dei due protagonisti, in Dragged Across Concrete, con una vocazione frontale, schietta e sincera, che è la stessa che si concede un prologo dalla fotografia virata al nero che lascia senza fiato e un epilogo romantico e crepuscolare da rimanere a bocca aperta, volando alto senza compiacersi. Guardando alla pancia e mirando al fegato ingrossato delle proprie creature, amandone i lampi di ironia, le accensioni di umanità, i sospiri di speranza che fanno capolino nel gorgo di una catastrofe annunciata.

Sempre insieme, Mel e Vince, uno accanto all’altro, senza un vero protagonista, quasi senza primi piani. Tale sincerità permette a Zahler non solo di realizzare un irresistibile buddy cop movie dalla bile in esubero, ma anche di regalare a Mel Gibson semplicemente il ruolo della vita, che fa il verso al suo vissuto da star politicamente scorretta, ostracizzata da Hollywood per le sue osservazioni fasciste e antisemite, e lo bagna di compassione mai compiacente sul piano ideologico (perché il giudizio spetta semmai ai media digitali, onnipresenti, all’intolleranza più o meno neutra dell’opinione pubblica).

Gli occhi azzurri del regista de La passione di Cristo, non a caso, non sono mai stati così umidi e ingrigiti, così segnati dal tempo che è passato, ben oltre le rughe che fanno capolino sul suo volto di giustiziere impossibile, travolto da un’ingiustizia che ritiene misera e squallida sul piano personale: è una questione razziale, la sua, ma soprattutto una faccenda di ricchi e poveri, di minoranze sociali, disparità di genere (il personaggio femminile di Jennifer Carpenter, malcapitata sotto le grinfie del caos cieco della virilità) e disuguaglianze sociali, perché tutto è politica e la politica è dappertutto, anche e soprattutto nell’ironia più punk e folgorante del film.

L’apnea di Brett, la sua esistenza sospesa e rimandata fino al momento di una vendetta sognata e da consumare, sono le stesse del film: un viaggio al termine della notte che procede coi piedi di piombo ma esaltante come pochi; un piccolo Taxi Driver, in miniatura e a due voci, in cui l’America non è l’altro che l’ennesimo brutto videogioco senza barriere morali, privato di ogni legge dell’uomo.

Solo un altro Shotgun Safari da leoni per agnelli, lungo due ore e quaranta che scorrono via lisce come l’asfalto più affilato, tra un faccia a faccia, un corpo a corpo, un colpo al cuore.

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