Hollywood mélo: a tu per tu con Colin Firth e Nicole Kidman

Intervista ai protagonisti di The Railway Man

COLIN FIRTH: «PERDONARE È DIFFICILE»

Ci sono storie che valgono la pena di essere raccontate, e di sicuro quella di The Railway Man è una di queste. Eric Lomax (Jeremy Irvine, il ragazzo di War Horse) non ha neppure vent’anni quando la Seconda guerra mondiale lo porta a Singapore. È un soldato, ma è soprattutto un tecnico: è lì per far funzionare le cose, non per distruggerle. Quando tutto il suo battaglione viene fatto prigioniero dai giapponesi e deportato in Thailandia, il destino gli fa uno scherzo: appassionato fin da bambino di treni, si ritrova a costruire una ferrovia in mezzo alla giungla, con 40 gradi e zanzare grandi come calabroni. Con i compagni, mette allora assieme una radio di fortuna: serve a ricevere informazioni dal fronte, non a trasmettere, ma quando i giapponesi lo scoprono non fa una gran differenza. Rinchiuso, torturato, dato per morto, riesce invece a sopravvivere a tre anni di stenti e umiliazioni, e a ritornare a casa dopo la guerra. 35 anni più tardi, diventato marito della bellissima Patricia (Nicole Kidman), scopre che il suo aguzzino è ancora vivo e fa la guida nello stesso campo in cui lui fu rinchiuso e umiliato.
Abbiamo parlato con Colin Firth, che interpreta il protagonista da adulto, al Festival di Toronto, dove il film è stato presentato in prima mondiale.
Eric Lomax è scomparso nell’ottobre del 2012. Hai fatto a tempo a incontrarlo personalmente?
«Sì. Il fatto che lui mi abbia raccontato la sua storia è stato cruciale. Tu fai il possibile per capire una vicenda come essere umano, ma se la persona che interpreti è reale non parliamo più solo di intrattenimento. Quando ci siamo visti ho capito che la storia narrata nel libro continuava anche adesso, stava andando avanti».
Ne hai sentito la responsabilità?
«Certo. Se siamo poco fedeli a una storia come questa, tradiamo tutto. L’altra sera la pellicola è stata proiettata anche alla presenza dei membri della famiglia Lomax ed è stato travolgente: percepisci l’esperienza come autentica, anche se si tratta di fatti successi 50-60 anni fa».
Quali pensi che siano i temi principali del film?
«Fondamentalmente due. Il primo è che il perdono è un sentimento che piace a tutti, ma arrivarci è tutt’altra storia, e richiede enormi sofferenze. E il secondo è riportare al centro dell’attenzione la pratica terribile della tortura, far capire che non è limitata a poche persone malate e a un ristretto periodo storico». […]

NICOLE KIDMAN: «HO BISOGNO DI ESSERE PROTETTA»

Nicole Kidman non è come te la immagini. Eterea, distante e al contempo appassionata sullo schermo – un equilibrio che è la prova vera del divismo – di persona si rivela invece spontaneamente allegra, disponibile perfino alla provocazione. Attorniata dai giornalisti durante un botta e risposta particolarmente affollato, non si fa scrupolo ad affibbiarti una pacca sulle spalle se sente una battuta che la fa divertire, con un vigore e una naturalezza che fanno pensare alle sue origini australiane. In compenso ti confessa senza problemi di aver bisogno di registi forti, capaci di sostenerla sul set, dichiarando implicitamente una forma di fragilità, che è anche il tratto più interessante del suo stile. La incontriamo pochi minuti dopo Colin Firth, altrettanto attenta a sottolineare l’importanza di un film come The Railway Man.
Come affronti storie e personaggi così drammatici?
«Devi essere vulnerabile, esposta alla profondità delle tue emozioni. È una cosa che richiede un certo sforzo, e io infatti lo spiego sempre al regista: “Devo portare le cose in superficie e ho bisogno che tu mi protegga: se lo fai, posso arrivare a qualsiasi punto tu voglia”. È questo che stabilisco fin dall’inizio».
Anche tu hai incontrato la signora Lomax?
«Sì, ed è proprio come nel film: tranquilla nonostante tutto, con un grande senso dell’umorismo. È molto orgogliosa, si vede che è scozzese e che si è fatta da sola. Nel film Patty resta sempre vicino a suo marito, anche nel momento peggiore, ma non parla molto. Diciamo che come lei credo nell’amore. Credo che quando incontri la persona con cui sei capace di condividere quasi tutto ci sia bisogno di tranquillità e di non fare pressioni. Talvolta anche di tenersi a distanza per fare in modo che chi hai accanto trovi la sua strada. Il cinema è pieno di dialoghi ma nella vita vera le persone spesso portano avanti relazioni straordinarie senza bisogno di parlare troppo».
C’è una scena che hai amato in particolare?
«Mi piace molto quando il mio personaggio va da quello di Stellan (Skarsgaard, che interpreta un amico del protagonista e con lui ha condiviso la guerra, ndr) e gli dice: “Non so cosa farò, non so come affrontare questa situazione; c’è un uomo di cui mi sono innamorata che se ne è andato e io lo rivoglio indietro”».

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(Foto: Getty Images)

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