Il cyberpunk ha sempre avuto un posto di culto nella storia del cinema: sottogenere nato dalla letteratura di autori come William Gibson e portato sullo schermo da capolavori come Blade Runner, Ghost in the Shell e Matrix, tra ambientazioni futuristiche e decadenti, multinazionali onnipotenti, hacker solitari e un’umanità in perenne bilico tra il reale e il virtuale, ha sempre conquistato la sua parte di pubblico grazie a questi ingredienti ricorrenti. Solitamente è associato al cinema americano o asiatico, ma anche l’Italia ha tentato di cimentarsi con questo immaginario. È successo nel 1997, quando Gabriele Salvatores ha segnato un unicum nel nostro cinema con Nirvana.
Salvatores, regista italiano tra i più riconosciuti e premiati, noto per opere come Mediterraneo (premio Oscar al miglior film straniero nel 1992), Io non ho paura e Educazione siberiana, ha deciso di cimentarsi con il cyberpunk in un periodo in cui il genere era ancora di nicchia. Nirvana racconta la storia di Jimi Dini (sorvoliamo sul nome…) un programmatore di videogiochi interpretato da Christopher Lambert, celebre protagonista della saga cult Highlander. Jimi scopre che il protagonista del suo videogioco, Solo, ha acquisito coscienza di sé e gli chiede di essere cancellato – una trama abbastanza simile nelle premesse ad un recente episodio di Black Mirror. Ma il file è bloccato nei server di una megacorporazione, e per eliminarlo Jimi dovrà intraprendere un viaggio pericoloso attraverso una società futuristica dominata dal controllo digitale e da una profonda disumanizzazione.
Girato con un budget contenuto, Nirvana è riuscito comunque a creare un immaginario visivo suggestivo, ispirato tanto all’iconografia cyberpunk quanto al cinema espressionista, grazie anche a una scenografia che mescola elementi post-industriali e spiritualità orientale. Accanto a Lambert, nel cast troviamo Diego Abatantuono nei panni di Joystick, un hacker cieco, Stefania Rocca nel ruolo della misteriosa Naima e Sergio Rubini. La colonna sonora elettronica firmata da Federico De Robertis contribuisce a costruire un’atmosfera ipnotica e disturbante.
Nirvana ha avuto il suo momento sotto ai riflettori: presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 1997, ha però ottenuto recensioni contrastanti; da un lato venne lodato per il coraggio e la visione di Salvatores, dall’altro criticato per alcune ingenuità narrative e stilistiche. Col tempo, tuttavia, è diventato un film di culto ma molto di nicchia, soprattutto tra gli appassionati del genere cyberpunk e i cinefili curiosi. È un raro esperimento di fantascienza d’autore, ambizioso e personale, il tutto made in Italy: un’anomalia preziosa nella storia del nostro cinema.
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