Venezia 71: «Di case non capisco nulla; e infatti mi sono comprato una vespa». Andrew Garfield presenta 99 Homes

Presenti in conferenza stampa anche il co-protagonista Michael Shannon e il regista Ramin Bahrani

Se mercoledì è stata la volta della fidanzata di Spider-Man (Emma Stone) – accompagnata per altro da Batman (Keaton) e Hulk (Norton) – oggi è l’Uomo Ragno in persona a riprendersi la scena. Andrew Garfield (e la sua barba, che ha continuato a “pettinare” per tutta la durata della conferenza stampa) è approdato al Lido in occasione della presentazione di 99 Homes, il film di Ramin Bahrani che racconta la crisi immobiliare statunitense, origine e causa della recessione che ha piegato il mondo intero (leggi la nostra recensione).

«Nonostante mio padre sia un businessman, io non ho mai assorbito il suo mondo. Anzi, ne sono sempre stato allergico. Non capisco nulla di mercato immobiliare; con i miei guadagni ho preferito comprarmi una vespa» spiega Garfield, che nel film interpreta un giovane padre – «Che c’è di strano? Sono geneticamente predisposto per farlo e sono pervaso da un istinto procreativo» scherza quando gli viene chiesto del suo istinto di paternità -, brutalmente sfrattato insieme al figlio e alla madre. Pur di guadagnare soldi, però, accetta di lavorare per l’agente immobiliare che per conto della banca gli ha levato la casa. Un patto dal sapore faustiano, contratto con un “diavolo” che ha il volto abbronzato di Michael Shannon (il villain dell’Uomo d’Acciaio, sempre per rimanere in tema supereroi), anche lui presente a Venezia. «Non ero così abbronzato dai tempi di Pearl Harbor, ma è stata un’esplicita richiesta di Ramin» ironizza, prima di tornare serio. «Io non possiedo immobili e me ne tengo alla larga, perché ho sempre nutrito parecchi sospetti sul mondo degli agenti, dei mutui e delle case. E adesso che ho girato 99 Homes posso dire: meno male! Tuttora, nonostante tutte le ricerche che abbiamo fatto per il film, continuo a non capirci niente, nemmeno della crisi». Shannon fa riferimento al lungo lavoro di preparazione e documentazione che ha preceduto l’inizio delle riprese, durante il quale cast e regista hanno incontrato esperti del settore e molte vittime, che con loro hanno voluto condividere il dramma dell’esperienza vissuta. «Naturalmente non posso fare il nome, ma io ho trascorso parecchio tempo con una persona che fa più o meno lo stesso mestiere del mio personaggio. L’ho seguito e osservato nel suo lavoro: credo fosse l’unico modo possibile per incarnare Rick Carver» spiega Shannon. Che in realtà ha avuto anche un altro piccolo “aiutino”: la classica sigaretta del villain, che in questi caso non emanava fumo ma una fluorescente luce blu. «Non ne avevo mai provata una elettronica prima di allora, ma Ramin l’aveva inserita nella sceneggiatura. Ho cercato di prendere dimestichezza e sul set continuavo a girarmela tra le mani. Devo ammettere che è stata estremamente di conforto, anche se l’ho abbandonata non appena abbiamo finito di girare».

Anche Garfield ha voluto confrontarsi con la realtà degli sfrattati da vicino e per un certo periodo è andato a vivere in Florida in un motel del tutto simile a quello in cui si rifugia nel film. Una presenza sul campo che lo ha aiutato ad approcciare Dennis Nash (questo il nome del suo personaggio), a capire la sua disperazione così come le sue scelte, ma gli ha anche permesso di assorbire informazioni, che Bahrani ha poi voluto inserire nel film. «Io mi sono concentrato sulle vittime e sono rimasto molto stupito da quanto vulnerabile sia la gente e nello stesso tempo quanto abbia bisogno di raccontare la propria esperienza. Non credo si possa fare un film del genere senza onorare chi ogni giorno vive sulla sua pelle questi drammi. Per me e Michael è stato necessario unirci a Ramin in questo tipo di impegno nei loro confronti».

«Se questo film possa avere una valenza didattica in futuro? Be’, questo lo dovrà decidere il pubblico. A me interessava puntare l’obiettivo sui personaggi e su un sistema che purtroppo ancora non si è riusciti a sovvertire e di cui la gente si è stufata. C’è voglia di cambiamento» ammette Bahrani, che ha voluto dedicare il film a Roger Ebert, il celebre critico cinematografico scomparso il 4 aprile 2013. «Eravamo molto amici e gran parte della mia carriera dipende da lui. Io gli avevo accennato velocemente al film, raccontandogli la mia idea e lui l’aveva approvata. Purtroppo non ha fatto in tempo a vederlo. Questa dedica è un modo per rilanciare la sua lotta a favore di un cinema d’emozione e di contenuto, che sia di più di un selfie, perché credo che il mondo svanirà in un volgare e osceno selfie finale. E sta anche a voi mettere fine a questo processo».

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(Foto: Getty Images)

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