Venezia 78, a lezione da Roberto Benigni: «La fatica del cinema è un dono di Dio»

Dopo aver ricevuto il Leone d'Oro alla carriera, l'attore e regista ha tenuto una speciale masterclass

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A Venezia 78 è scoccata l’ora di Roberto Benigni. L’istrionico attore e regista ieri sera è stato premiato con il Leone d’Oro alla carriera, ricevuto dalle mani della regista Jane Campion. «Io mi meritavo un gattino mentre un Leone d’oro qui a Venezia è il premio più luminoso che si possa immaginare in Italia e nel mondo» ha detto dal palco sul quale è stato accolto con una standing ovation. 

Oggi invece è stato il giorno della sua attesissima Masterclass, un occasione per riassumere i 50 anni di carriera di una delle personalità italiane più conosciute e riconosciute al mondo. Molto di quello che Roberto Benigni è diventato lo deve ad alcuni modelli coi quali viene spesso paragonato: Charlie Chaplin, Totò, Jacques Tati… Maestri della comicità dei quali non teme il confronto: «Come dire il mare il cielo, gli elementi del cinema. Sono modelli a cui rifarsi, ergersi, per questo han messo le ali al leone. Di Chaplin ancora oggi sono attratto da come si può essere poetici e insieme far ridere. Lo vidi per caso a 14 anni, c’era La Febbre dell’oro e ne uscii muto come i greci di fronte alle cose sacre».

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Crediti: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Del celebre attore e regista inglese ha poi lodato l’uso della macchina da presa e la rarità dei primi piani – «Sul comico è quasi pornografico, ha troppa forza di poesia e di erotismo, è carico di vita» – e del carrello – «In Chaplin e Keaton era come diceva Flaubert: “Lo scrittore come Dio deve essere in ogni luogo ma non si deve mai vedere». Diversa invece la devozione per il francese Tati: «É come un asceta, un monaco zen: come Caproni o Montale, che aspettavano giorni per trovare la parola di una poesia, così lui poteva aspettare mesi per una gag».

Grandi riferimenti, tutti accomunati da un erotismo definito sentimentale ma mai sdolcinato: «Mi piacciono quelli con religiosità e sentimento. Il sentimento è la cosa più importante della vita. Un haiku recita: “Possa quel bimbo nato stamane trovare nel tempo un amore stupendo”. I registi lo trovano e lo trasmettono». Tra gli italiani ha ricordato Federico Fellini, che secondo Benigni non ha cambiato il cinema ma è stato il più grande del Novecento, al contrario di Godard.

Crediti: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Lo sguardo sui grandi del passato si è chiuso con un giudizio critico sulla modernità: «Ha preso campo ora quello che Zavattini aveva teorizzato, non il neorealismo ma quella che si chiamava la poetica del pedinamento. È quello che è accaduto coi telefonini: non c’è più il cinema, l’occhio è straziato di immagini, ha perso la sua purezza, ha perso la ragione propria e il mistero dell’immagine. È diventato tutto più piccolo».

Roberto Benigni però non è solo regista, è anche l’unico attore italiano ad aver vinto l’Oscar (La vita è bella, 1999). Proprio parlando del mestiere dell’attore, il 68enne di Castiglion Fiorentino ha voluto allontanarsi dall’idea che recitare sia un gioco: «Non devi divertirti tu che lo fai, ma chi ti guarda. Si può dire, come diceva Orson Welles, che il cinema sia il più bel trenino elettrico che sia mai stato inventato, bisogna mantenerci puri, fanciulli pascoliani. Ma la fatica del cinema è un dono di Dio: fare il regista è una fatica immensa, deve scegliere ed è una grande responsabilità». Il compito dell’attore invece è diverso: «Recitare non vuol dire imitare, è l’opposto. Quando si recita si entra in un altro mondo, l’imitazione è farsesca e spettacolare, ma non c’è peggior ubriaco in scena di chi è ubriaco davvero». 

Crediti: Franco Origlia/Getty Images

Nel corso della Masterclass condotta da Gianni Canova, c’è stato spazio anche per scoprire un Roberto Benigni più privato. L’attore e regista ha descritto così la sua “giornata tipo”: «Faccio le cose che fanno tutti: aro… Scherzo! Una volta pensavo tutto il giorno al cinema e alle storie, lo faccio ancora ma adesso è come diceva rossini: “Una volta era la melodia che veniva da me, ora sono io che devo andare da lei e spesso non la trovo in casa”». 

Una nota quasi malinconica, spiegata così da Benigni: «Sentivo le idee che si muovevano attorno a me, i miei sogni erano diversi sulla creatività. Il tempo però è padrone della psiche e dell’essere, bisogna assecondarlo e non fargli resistenza. A volte penso a film e idee, se trovassi quella giusta lo farei con grande entusiasmo, ma comincio e poi mi fermo». 

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